Meccanicismo e riduzionismo, dalla Voce DISF "Meccanica"

1. Che cos'è il meccanicismo. Con il termine «meccanicismo» si designa quella corrente filosofica — che si sviluppò prima della formulazione delle leggi dell'elettromagnetismo da parte di Maxwell — i cui sostenitori ritenevano che tutto l'universo poteva essere descritto e spiegato mediante le sole azioni meccaniche di "contatto" tra i corpi materiali. Questo meccanicismo "forte" si trovò già in difficoltà di fronte alla stessa meccanica newtoniana, che introduceva, con la "forza gravitazionale", un'azione "a distanza". I meccanicisti — soprattutto i cartesiani, che aspiravano all'ideale di una scienza interamente ricondotta alla geometria — guardarono con sospetto la stessa nozione di forza, «temendo di scorgere in questo concetto un residuo delle aborrite qualità occulte» (Masi, p. 87, cfr. anche Koyré, 1972, p. 62). In seguito al successo indiscusso della meccanica di Newton e delle sue applicazioni ai moti planetari, si finì con l'accettare anche il concetto di forza, cercando di interpretarlo come un'azione, in qualche modo a contatto, se pure indiretto, realizzata mediante "effluvi" di particelle che i corpi interagenti si scambiano. Questa idea fu ripresa da una concezione che fu già di Pierre Gassendi (1592-1655) e ottenne l'effetto di far sviluppare, un po' alla volta, un meccanicismo più "debole", che accoglieva al suo interno anche la "forza" e l'azione a distanza.
In tal modo il meccanicismo divenne, più semplicemente, quella filosofia della scienza che ritiene che tutto l'universo possa essere descritto e spiegato mediante le sole leggi della meccanica newtoniana. È celebre, a testimonianza di questa posizione, l'affermazione di Pierre-Simon de Laplace (1749-1827): «Un'intelligenza che, in un dato istante, conoscesse tutte le forze che animano la natura e la situazione corrispondente degli enti che la compongono e fosse così vasta da poter sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe con una sola formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli dell'atomo più leggero: per essa niente sarebbe incerto e l'avvenire, come il passato, sarebbero presenti ai suoi occhi» (Theorie analytique des probabilités, Paris 1920, p. VII). Le ripercussioni di una simile concezione sulla filosofia e sulla teologia sono evidenti. Essa si fondava ormai su una metafisica della pura quantità e relazione e non possedeva più i concetti fondamentali di una metafisica dell'ente. Se i meccanicisti dell'epoca non se ne accorsero subito fu solo perché le loro convinzioni religiose supplirono fideisticamente all'insufficienza della base razionale della loro metafisica. L'azione creatrice di Dio si riduceva all'avvio iniziale della macchina del mondo e non era più considerato necessario alcun suo intervento per conservare nell'esistenza (come causa essendi) le cose create. «Quanto più completo è il successo con cui Newton riesce a spiegare i fenomeni naturali a partire dalle operazioni di forze naturali che ubbidiscono a leggi fisse e immutabili, tanto più difficile diventa per lui trovare per il creatore del mondo una funzione anche come conservatore dell'universo materiale. Egli fa un debole tentativo di dimostrare l'indispensabilità della sua costante collaborazione al fine di prevenire e riparare i disturbi e le irregolarità che si verificano nel meccanismo del mondo, ma così facendo non fa che esporsi alla derisione di Leibniz, che gli chiede se il creatore onnipotente non abbia prodotto un meccanismo imperfetto. La meccanizzazione dell'immagine del mondo portava con irresistibile coerenza alla concezione di Dio come di un ingegnere a riposo, e di qui alla sua completa eliminazione non v'era che un passo» (Dijksterhuis, 1971, parte IV, p. 330). E a questa eliminazione non tardò a giungere: «"Non ho bisogno di quest'ipotesi", rispose Laplace a Napoleone che gli chiedeva quale posto occupasse Dio nel suo sistema» (Koyré, 1972, p. 23).
Dal punto di vista del metodo scientifico, il meccanicismo è il primo esempio eclatante di riduzionismo. Esso assume, infatti, che tutto l'universo sia una grande macchina, governata dalle leggi di Newton e, di conseguenza, che tutta la fisica, o addirittura tutta la scienza, sia riconducibile ad una serie di applicazioni della meccanica. Dopo che la fisica ebbe operato con successo la riduzione della termodinamica alla meccanica, mediante la teoria cinetica dei gas e la meccanica statistica, il meccanicismo ricevette una sorta di conferma. Seguendo questa linea riduzionista si è cercato, successivamente, di interpretare anche la chimica come un capitolo della fisica, e le stesse scienze biologiche in termini meccanici, includendo in tale visione meccanicista non solo i moti di "accrescimento" e "corruzione" dei corpi organici e viventi, ma anche gli stessi processi cognitivi.

2. Meccanicismo e struttura dell'universo. Dal punto di vista della "struttura" dell'universo il supporto del meccanicismo non poteva essere che il materialismo, in quanto la meccanica suppone necessariamente dei corpi materiali di cui governa il movimento. Ridurre tutto a meccanica voleva dire ridurre tutto a materia; in questa direzione una conferma veniva dal successo della teoria atomico-molecolare. Ma la vera crisi del meccanicismo si ebbe, verso la metà del XIX secolo con l'elettromagnetismo di Maxwell, teoria che si dimostrò del tutto refrattaria ad essere ricondotta alla meccanica. Questa irriducibilità dimostrò di essere così radicale da far nascere, in opposizione al meccanicismo, una corrente di pensiero che operava nella direzione opposta, l'energetismo, che proponeva di interpretare la stessa materia come una forma concentrata di energia del campo.
Alla luce della fisica odierna questa irriducibilità dell'elettromagnetismo alla meccanica risulta comprensibile per due ragioni: l'una è dovuta all'incompatibilità della meccanica newtoniana con l'invarianza delle equazioni di Maxwell per trasformazioni galileiane; e sarà la teoria della relatività speciale di Einstein a correggere la meccanica per risolvere questo problema. L'altra ragione è legata alla diversa natura della materia rispetto alla radiazione. E questo, alla luce della meccanica quantistica, è legato all'irriducibilità del comportamento delle particelle che veicolano la materia («fermioni») con il loro carattere di impenetrabilità (legato al principio di esclusione di Pauli), e delle particelle che veicolano il campo elettromagnetico (i fotoni, che sono «bosoni») che non godono di tale impenetrabilità. La fine del meccanicismo non significava, però la fine immediata del riduzionismo. La fisica classica, all'inizio del XX secolo, disponeva di due sintesi parallele e coesistenti: quella newtoniana per la meccanica — che si estendeva anche alla termodinamica, attraverso la meccanica statistica — e quella maxwelliana per l'elettromagnetismo, che furono rese compatibili con la correzione einsteiniana della meccanica. Nel Novecento la meccanica e l'elettrodinamica quantistica riformularono radicalmente tutta la fisica, rendendola adeguata all'indagine dell'atomo e del microcosmo in genere, ma continuarono a legittimare il metodo riduzionista. Solo a partire della seconda metà del secolo, con la graduale ripresa degli studi di meccanica non lineare iniziati da Poincaré e poi abbandonati per diversi decenni, il riduzionismo è stato fortemente messo in crisi ed è iniziata contemporaneamente, un po' in tutte le scienze, quell'indagine che va sotto il nome di studio della complessità.

3. Riduzionismo e matematica. Dal punto di vista matematico il riduzionismo sembrerebbe intrinsecamente legato all'utilizzo del calcolo differenziale e del calcolo integrale: questi due strumenti, infatti sono riduzionistici nella loro stessa metodologia. Il calcolo differenziale è, per sua natura, un calcolo "locale". Esso definisce le sue grandezze e opera con quantità infinitesime che variano nell'intorno di un punto, prescindendo da ciò che succede al di fuori di tale intorno. Dunque prende in esame una parte infinitesima di un tutto. Dal punto di vista geometrico ciò significa che approssima, localmente, una curva con la sua tangente, una superficie con il piano tangente, ecc. L'operazione di integrazione di un'equazione differenziale chiama in causa il calcolo integrale: quest'ultimo consiste nell'effettuare, con un processo al limite, la "somma" di infiniti elementi infinitesimi (integrale). In questo modo tale calcolo ricostruisce il tutto sulla base di infinite informazioni di carattere locale, come somma di parti. Dal punto di vista geometrico ciò significa la ricostruzione di una curva mediante la conoscenza delle tangenti in ogni suo punto. Probabilmente lo studio della complessità richiede di esaminare anche proprietà del "tutto" che non sono ricostruibili in questo modo, cioè proprietà "globali" che non sono deducibili da informazioni di carattere "locale". Ma questo è un problema ancora del tutto aperto.

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