Giuseppe O. Longo – Il Simbionte. Prove di umanità futura – Mimesis, Milano-Udine, 2013
A partire dal significato biologico ed etologico primitivo, il termine simbiosi ne ha assunto altri. Ad esempio in psicologia si parla di simbiosi con riferimento all’impossibilità di distinguere del tutto oggetto e soggetto. La costruzione della nostra identità, processo che dura tutta la vita, dovrebbe portarci alla liberazione dalla simbiosi con la madre , che ha le sue radici nella vita intrauterina e che si prolunga nei primi tempi della fase postnatale. Ma la costruzione dell’identità comporta un distacco doloroso dall’Eden primordiale ed è quindi soggetta a incertezze e regressioni legate al desiderio di rientrare nel ventre materno o di morire (metaforicamente o letteralmente). Nella simbiosi si ravvisa infatti una sorta di dolce abbandono, di delega, di rinuncia,che ha a che fare con la morte. La simbiosi e una difesa contro i cambiamenti imposti dalla vita, e la ricerca un luogo chiuso e protettivo rappresentato dall'archetipo materno. La simbiosi e l'individuazione si alternano nel processo di costituzione dell’identità: infatti una persona non può vivere né senza legami di identificazione con l’altro né senza una propria autonomia.
Più di recente si e cominciato a parlare di simbiosi in termini generalissimi, con riferimento all'ibridazione tra biologico, meccanico ed elettronico. Ciascuno di noi, più o meno circondato e invaso dalla tecnologia, sta diventando una cellula ibrida di una sorta di macroorganismo che invade tutto il globo: in modo ancora semi-inconsapevole ne costruiamo dall’interno il metabolismo e il sistema nervoso. Ci avviamo a diventare gli elementi costitutivi, i neuroni, gli organi, le cellule, di una creatura planetaria che si è sviluppata finora tramite i meccanismi tipici di ogni sistema complesso: l’autorganizzazione, l’autocatalisi, la coevoluzione, la simbiosi. Questa creatura potrebbe diventare sede di un'intelligenza collettiva e forse di una coscienza collettiva, e in essa si sta attuando una progressiva confusione tra naturale e artificiale (tra artificio naturale e natura artificiale).
Questo sviluppo comporta una radicale trasformazione dei nostri metodi conoscitivi, che passano dall’analiticità tipica della scienza fisico matematica tradizionale alla sintesi manipolativa e simulativa consentita dalle nuove tecnologie: la sfida posta dalla necessità di comprendere e gestire la complessità della creatura planetaria può essere affrontata solo con i nuovi strumenti, in particolare con la simulazione. In questo senso il computer diventa lo strumento di elezione per lo studio della complessità organizzata. Le strutture e i processi che si ritrovano a varie scale sia nella natura sia nei sistemi allestiti dall’uomo sembrano offrirsi a uno studio unificato, ma bisogna appunto impadronirsi dei nuovi strumenti: questo mutamento epistemologico ha effetti importanti sul modo in cui conosciamo (e progettiamo) il mondo e sul modo in cui trasmettiamo la cultura.
Si profila, in questa direzione, una scoperta o riscoperta del pensiero multiplo, sistemico, il solo capace di comprendere la molteplicità e la complessità del fenomeno globale: di contro all'analisi cartesiana, con tutti i suoi meriti, si propone l’impostazione sistemica, capace, in linea di principio o in linea di speranza, di evitare la frammentazione del sapere in una moltitudine di isole separate e sempre più specialistiche. L'analisi spezza il complesso del mondo in schegge disgiunte e i modelli possono aderire ai fenomeni solo localmente: incapace di restituirci un 'immagine globale e coerente, l'analisi diluisce e disperde il senso.
Come si è detto, la formazione della creatura planetaria passa per una sorta di simbiosi: il significato del termine subisce uno slittamento rispetto a quello che ha in biologia, e i simbionti di cui parlo e di cui parlerò in questa libro sono soprattutto associazioni tra sistemi viventi e sistemi non viventi.
Esempi: l’automobile e la fattoria
Alcune di queste associazioni sono talmente importanti e diffuse che il loro carattere simbiotico, sia pure in senso generalizzato, bio-tecnologico, rischia di sfuggire. Un esempio cospicuo è l’automobile. Nel bene (libertà di movimento, spinta allo sviluppo economico, turistico e culturale) e nel male (inquinamento, ingorghi e vittime del traffico), l’automobile ha condizionato le abitudini e l'immaginario di miliardi di persone. Il rapporto tra uomo e automobile è un’illustrazione perfetta della coevoluzione tra noi e le nostre macchine (non per nulla quando si dice "macchina" spesso s 'intende la macchina automobile). La comparsa dell'auto è assimilabile alla nascita di una nuova specie vivente. L'automobile si riproduce, si nutre, migliora le proprie caratteristiche e si adatta di continuo a un ambiente che essa stessa contribuisce a trasformare. E’ vero: fa tutto ciò attraverso di noi (l’uomo è il mezzo di cui l’automobile si serve per fare un'automobile migliore), ma ciò non toglie validità al parallelismo con la biologia.
La fabbrica è il suo utero, il suo Dna è costituito dai progetti degli ingegneri, il suo alimento è la benzina. Il cervello dell'automobile è quello dell'uomo: è un cervello mobile, inseribile e asportabile. L’auto ha un cervello solo quando c’è qualcuno al volante. Possiamo dunque estendere la definizione biologica primitiva e affermare che uomo e automobile sono in simbiosi. Accettare questo concetto significa, come si è anticipato, abbattere le frontiere tradizionali tra naturale e artificiale e inaugurare un immenso regno misto i cui abitatori, a prescindere dalla loro costituzione materiale e dalla loro storia, presentano caratteristiche convergenti.
I vantaggi che l'uomo trae dalla simbiosi con l’auto sono evidenti e si riassumono nella possibilità di spostarsi con grande velocità e comodità.
Per la macchina i vantaggi sono altrettanto evidenti, anche se siamo noi a individuarli e non l’auto, che resta pur sempre priva di coscienza e di soggettività. L’automobile è curata, nutrita, controllata, e questa sollecitudine le ha giovato non poco, come attestano le sottospecie multicolori e variegate in cui si è differenziata: dalle berline ai camion, dalle giardinette ai fuoristrada, dalle autobotti ai trattori. L’auto ha colonizzato il mondo, mantenendo gli esseri umani in uno stato di sudditanza e opponendosi caparbia ai tentativi di limitarne la diffusione per i danni che ci procura.
Come accade in natura, i simbionti si possono trasformare in parassiti: il gioioso ed equilibrato rapporto tra due specie che convivono con vantaggio reciproco può degenerare in uno sfruttamento unilaterale o nell’accumulo di svantaggi intollerabili per una delle due specie, che viene ridotta in schiavitù, o addirittura portata alla morte, dall'altra. Da un pezzo l’automobile manifesta caratteri parassitari: in un tempo brevissimo è riuscita ad assoggettare il genere umano, che dedica gran parte della propria attività alla costruzione e al mantenimento del suo immenso parco macchine, che non esita a fare la guerra per accaparrarsi o difendere i pozzi di petrolio, che affronta un futuro problematico e forse catastrofico pur di non rinunciare a questa vera e propria droga che l’auto instilla goccia a goccia nelle nostre vene.
[…] c’è un simbionte molto più antico dell’automobile: la fattoria. In essa i batteri sono sfruttati nelle fermentazioni per la produzione del formaggio, del vino, della birra, ma anche nella conservazione dei cibi e nella coltivazione del suolo per accrescerne il rendimento e perfino nella digestione compiuta dagli animali e dall’uomo. Inoltre l’ibridazione delle piante e gli incroci degli animali hanno prodotto nuove varietà, contribuendo alla formazione di un ambiente profondamente simbiotico che si inserisce nella coevoluzione tra biosfera ed ecosfera.
Sulla fattoria, vera e propria unità simbiotica di sopravvivenza, si è di recente innestata una nuova famiglia di tecniche di incrocio e meticciamento, basate sulla conoscenza esplicita, ancorché incompleta, dei meccanismi cellulari della riproduzione. Le biotecnologie stanno prendendo piede e annunciano una rivoluzione di vastità e portata inimmaginabile, preludendo a nuove simbiosi tra il biologico e l'artificiale, a nuove invasioni del corpo a livello fenotipico e genotipico, mettendo ancora più in crisi il concetto rassicurante di identità e provocando gravissimi problemi di equilibrio ecologico e di etica.
Un simbionte troppo rapido
[…] Osserviamo che quando le due componenti in simbiosi sono eterogenee, una è organica e l’altra è macchinica, spesso per indicare il simbionte si usa il termine ciborg, o, all’inglese, cyborg, ma preferisco parlare di simbionte, al quale attribuisco un significato un po·piLI ampio e con una sfumatura meno fantascientifica.
[…] L’introduzione delle tecnologie e la loro integrazione con il biologico, in particolare con il biologico umano,obbediscono a certe leggi (sia pure statistiche e non rigide) di carattere generale. Tra queste leggi è importante menzionare il carattere autocatalitico dell’innovazione tecnologica: l’innovazione è retta da una retroazione positiva, cioè più innovazioni ci sono più innovazioni ci saranno. Questo vale in particolare per le tecnologie della comunicazione e dell'informazione. Per esempio la diffusione del telefono è basata su un meccanismo autocatalitico: più il telefono si diffonde più la sua ulteriore diffusione è facilitata (perché i costi di installazione e di esercizio tendono a decrescere mentre I'aumento del numero di abbonati rende 1’uso del telefono sempre più utile). Lo stesso vale grosso modo per Internet.
Questi anelli di retroazione positiva inducono in genere una grande accelerazione nel processo di diffusione delle tecnologie e di conseguenza nel processo di ibridazione con l'uomo. La contrazione dei tempi di costituzione dei simbionti a tutti i livelli non è un fenomeno irrilevante: essa è la prima causa dei disadattamenti e delle tensioni che si creano sempre nei processi di ibridazione e nei loro risultati. Ancora una volta la variabile tempo, dunque la storia, si rivela fondamentale nella descrizione e nella comprensione dei fenomeni evolutivi, dei fenomeni complessi e in particolare della simbiosi tra il biologico e l'artificiale. In effetti sembra che oggi la velocità dell'innovazione tecnologica e dell’ibridazione bio-tecnologica superi la capacita di adattamento armonioso tra le due componenti .
Un’ultima considerazione, per completare questo quadro generalissimo sulla simbiosi. Abbiamo menzionato alcuni casi importanti in cui una delle componenti del simbionte è l'uomo: l’uomo e le specie domesticate (animali, piante, batteri); l’uomo e gli ambienti da lui modellati (la casa, la città, l’ambiente più o meno esteso); l’uomo e le macchine da lui costruite (da quelle meccaniche a quelle elettriche ed elettroniche); l’uomo e la nuova biologia artificiale da lui costruita e usata.
Il caso della medicina
C’è un altro caso, che si potrebbe considerare una miscela dei precedenti, ma che preferisco menzionare in modo esplicito. Da sempre l’uomo assume farmaci: prima, a lungo, naturali, poi, di recente, sintetici. Con la chirurgia il corpo viene manipolato in modo più o meno grossolano, non più solo chimico, ma meccanico. Queste pratiche si scontrano con il concetto di un'identità stabile legata al corpo biologico. Dopo i trapianti organici, la medicina moderna ci presenta ulteriori meticciamenti tra organico e non organico: protesi e apparecchi sempre più intimi, sempre più estranei alla storia biologica. La bioingegneria ci propone anche ibridazioni di organico "naturale" con organico "artificiale": allo stesso tempo l’umanità appare sempre più proiettata verso una sessualità di nuovo tipo, anzi verso una scomparsa della sessualità come strada regia della riproduzione: disaccoppiando sessualità e riproduzione andiamo verso la produzione di noi stessi. Come sono lontani i tempi in cui i trapianti di organi ci parevano miracoli un tantino diabolici per quel residuo di sacralità che ancora aleggiava intorno al corpo! Nel frattempo questi interventi (i trapianti di cuore, fegato, reni, arti, le applicazioni di pelle sintetica, la dialisi, le pratiche di cosmesi e di chirurgia plastica ...) sono diventati comuni, e sono stati affiancati da pratiche molto più audaci: terapie invasive basate sulle cellule staminali, che introducono nel corpo una sorta di colonia infestante, in grado di rigenerare qualunque tessuto e di rinnovare il soggetto , tramutandolo in altro, uguale a prima ma diverso da prima, capace di prestazioni nuove, di vita ulteriore, di sentimenti inauditi.
Da ultimo ricordo che secondo molti biologi l’origine della cellula vivente è di natura simbiotica: per esempio i mitocondri (centrali energetiche) e altri elementi delle cellule eucarioti sono ex batteri (procarioti) e i cloroplasti (sensori solari delle piante verdi) sono ex alghe venuti a vivere all’interno di una cellula ospite alla quale, in cambio di vitto e alloggio, forniscono l’energia di cui ha bisogno. Insomma una coabitazione opportunistica e vantaggiosa, di tipo appunto simbiotico, tra un batterio aerobico e una cellula procariote è diventata alla lunga un legame indissolubile il cui risultato è la cellula eucariota, base degli organismi pluricellulari.
Da questa rapida panoramica, si può concludere che la simbiosi, il meticciamento, l'associazione, l’ibridazione s'incontrano ovunque: non solo in biologia, a livello planetario, ma anche nella cultura in tutte le sue manifestazioni. Si tratta di un vasto processo sistemico ed evolutivo che sta alla base di ogni possibile tentativo di interpretazione filosofica, scientifica e narrativa della realtà. Da questo complesso fenomeno sono stati via via ritagliati sottofenomeni particolari, di cui si sono proposte interpretazioni, letture, modelli e teorie volte a fini particolari. Nulla di male, se si tiene presente la natura parziale e provvisoria di queste spiegazioni: tout se tient e noi siamo nel tutto. Forse questa complessità si può solo danzare.
II corpo del simbionte
Vorrei ora considerare un particolare homo technologicus, quello che nasce dalla simbiosi tra I'uomo e le macchine mentali astratte, fatte di informazione, che costituiscono le strutture del sapere. Si dice che il mondo di oggi è il mondo dell’informazione, della comunicazione, della rappresentazione. Vorrei far notare che è sempre stato così: l'uomo da sempre narra e si narra, comunica, scambia dati, notizie e racconti. Sono cambiati i modi, le forme e i canali della comunicazione. La tecnologia dell'informazione ci fornisce oggi mezzi tali, per velocità e potenza, da stravolgere la nostra percezione: da quando se ne parla tanto, tutto è diventato informazione. Per di più, questi mezzi hanno un’influenza enorme anche sulle forme e sui contenuti della comunicazione, e danno l’impressione che stia avvenendo un progressivo distacco dalla materialità, un alleggerimento (il "passaggio dagli atomi ai bit" di cui si e fatto ammiccante profeta Negroponte 1995) che prelude all’avvento dell’informazione disincarnata. Ciò che conta sembra essere sempre più, l’informazione, anzi quella particolare forma di informazione che si attua nei codici digitali, a scapito della materia e dell'energia. Se accettiamo questo punto di vista siamo portati a considerare una forma estrema di simbiosi biotecnologica, quella in cui la parte tecnologica, fatta di pura informazione, condiziona tanto la parte umana da farla svanire in un codice. Per poter parlare di questo simbionte disincarnato, ridotto a pura traccia di luce informazionale, è necessaria riprendere e raffinare il tema generale del simbionte.
L'avvento di homo technologicus
La tecnologia concorre da sempre a foggiare l’essenza dell’uomo. Lo sviluppo della tecnologia ha accompagnato lo sviluppo di homo sapiens, l’ha causata e ne è stata causata, grazie a un processo dinamico coevolutivo in cui di volta in volta una componente ha guidato e trascinato l’altra. Inoltre l’evoluzione della tecnologia contribuisce potentemente all'evoluzione dell'uomo, anzi le due evoluzioni sono strettamente intrecciate in un’evoluzione “biculturale” o “biotecnologica”, al cui centro sta homo technologicus: un’unità evolutiva ibrida, una sorta di simbionte in via di continua trasformazione. In questa prospettiva, da sempre homo sapiens è stato in realtà contaminato dalla tecnologia, cioè è sempre stato il simbionte homo technologicus. La presenza e la perpetua trasformazione di questo simbionte, in passato poco visibili, tanto da autorizzare, in molte filosofie e in molte religioni, una visione fissista della natura umana, oggi, per il continuo potenziamento della tecnologia, sono piuttosto evidenti. Da sempre il corpo umano è stato ampliato da strumenti, protesi e apparati che ne hanno esteso e moltiplicato le possibilità d’interazione col mondo, in senso sia conoscitivo sia operativo. Tanto che non è facile stabilire dove termini il corpo: dire che esso è racchiuso nei suoi limiti "topologici", segnati dalla pelle, è - sotto il profilo comunicativo e attivo - arbitrario e sostanzialmente inesatto.
Come ha ben chiarito Roberto Marchesini, l'invenzione e l'uso degli strumenti si configura come una vera e propria ibridazione: innestandosi nell'uomo, ogni nuovo apparato da luogo a un'unità evolutiva (un simbionte) di nuovo tipo, che attua potenzialità umane - percettive, cognitive e attive - inedite e a volte del tutto impreviste, e di questa coevoluzione ibridativa non è possibile indicare i limiti.
La retroazione trasformativa delle tecnologie sull’uomo non può essere negata: bisogna tuttavia distinguere la diversa velocità con cui si evolvono i vari aspetti (cognitivo, emotivo, percettivo, fisiologico, fenotipico, genotipico) dell'umano per effetto di questa ibridazione. Ci sono caratteristiche, per esempio quelle emotive ed espressive che manifestano un'evoluzione molto più lenta di altre, per esempio quelle cognitive. Sono le prime che, se da una parte autorizzano a parlare di "natura umana" come di un dato immutabile, dall'altra causano i problemi più gravi e le sofferenze più acute in seguito l’invasione tecnologica: […] il riferimento a queste caratteristiche quasi immutabili costituisce la base per la prudenza, se non per il rifiuto, nei confronti dell'innovazione tecnologica. La sofferenza che si manifesta a livello espressivo ed emotivo riguarda i singoli individui, cioè si situa a livello fenotipico. A livello genetico il disadattamento si può manifestare in forme diverse: deformità, patologie, debolezze (che pure possono essere considerate segni di sofferenza, ma della specie, salvo poi travasarsi sugli individui).
Si tratta delle sofferenze che sempre accompagnano la trasformazione, la nascita, il trapasso, il cambiamento. Ma le sofferenze hanno come contropartita positiva la comparsa di capacità inedite: fare un bilancio quantitativo o almeno qualitativo dei pro e dei contro è ovviamente impossibile, e la valutazione è lasciata a ciascuno.
Bibliografia
J. De Rosnay, L’uomo, Gaia e il cibionte, Dedalo, Bari, 1997
R. Marchesini, Post-human, Bollati-Boringhieri, Torino 2002